Supponiamo per un momento di essere nei panni di Lewis Hamilton, Charles Leclerc, Michael Schumacher, Niki Lauda o un qualsiasi altro grande pilota del presente o del passato – scegliete voi il vostro beniamino.
Siamo nel vivo di un’agguerrita sessione di qualifica per stabilire lo schieramento di partenza in gara, alla ricerca del giro perfetto: mordiamo l’asfalto una curva alla volta, sapendo che un solo millimetro di differenza nelle nostre traiettorie può farci ottenere la pole position oppure no.
Torniamo al box e scopriamo che al posto di usare un cronometro preciso al millesimo di secondo, i tempi sono stati misurati da un tizio che ad alta voce contava “mille uno… mille due… mille tre…”.
Ecco, quel tizio sono i professionisti dell’advertising che non si preoccupano di tracciare correttamente i risultati delle loro campagne pubblicitarie online, scegliendo il giusto modello di attribuzione in funzione degli obiettivi di ogni canale utilizzato – e durante tutto il customer journey, non solo a conversione avvenuta.
In ambito di advertising online, con attribuzione intendiamo l’assegnazione del “merito” di una conversione ad un annuncio (ovvero l’azione che vogliamo l’utente compia – come l’acquisto, la compilazione di una form, una chiamata…).
Il modello di attribuzione è quindi un insieme di regole o un algoritmo che determina quando il merito di una conversione avvenuta sarà attribuito ad una campagna piuttosto che ad un’altra.
Spetta a chi gestisce le campagne la scelta di quale utilizzare, tra i diversi messi a disposizione sulle piattaforme pubblicitarie.
La scelta non è però così banale. In un contesto in cui il customer journey è sempre più complesso e coinvolge diversi touchpoint, la scelta di quale modello di attribuzione utilizzare è tutt’altro che banale.
La questione che si pone è: se un utente prima di effettuare una conversione passa per un nostro annuncio Google Ads, una ricerca organica sul motore di ricerca e un’inserzione sui social, di chi è alla fine il merito della conversione? Dell’annuncio che gli ha fatto iniziare il percorso? O dell’ultimo che ha cliccato entrando sul sito? Oppure ancora di uno step intermedio che ha toccato la leva giusta per quell’utente?
Da qui nascono i diversi modelli di attribuzione; ad oggi Google Ads mette a disposizione i seguenti:
Ma la frontiera, per ora disponibile solo per campagne che generano almeno 600 conversioni ogni 30 giorni, è l’attribuzione basata sui dati: è il machine learning a stabilire in che modo ogni touchpoint contribuisce a generare conversioni, valutando sia i percorsi conclusi con successo, sia quelli che si sono interrotti senza raggiungere il nostro obiettivo.
Oggi la complessità delle campagne pubblicitarie online, spesso un mix tra Social Adv e le diverse reti di Google Ads (search, display, shopping, video, app), impone alle agenzie di marketing e comunicazione di valutare tutto il percorso d’acquisto dell’utente e non più solo l’ultimo clic – perché non è solo l’uscita dall’ultima curva ciò che ci permette di ottenere la pole position.
Come ogni settore del circuito, ogni punto di contatto con l’utente, ogni annuncio, ogni campagna e piattaforma pubblicitaria porta gradualmente l’utente a tagliare il traguardo. Per questo i risultati di ogni step devono essere misurati in funzione dell’obiettivo che abbiamo in quello specifico punto del tracciato, con una visione d’insieme della strategia.
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